A partire dal 28 giugno 2025, tutti i prodotti e servizi digitali destinati al pubblico dovranno essere accessibili anche alle persone con disabilità. È quanto stabilisce la Direttiva (UE) 2019/882, nota come European Accessibility Act (EAA), recepita in Italia con il Decreto Legislativo 82/2022. Ma attenzione: non si tratta di una norma che riguarda solo la Pubblica Amministrazione o i grandi colossi digitali. Anche molte imprese private saranno coinvolte, e per molti sarà necessario pubblicare una dichiarazione ufficiale di accessibilità del proprio sito, applicazione o servizio. Pena: sanzioni salate, segnalazioni e la rimozione dal mercato europeo.
Una rivoluzione silenziosa sulla direttiva dell’inclusività, che sta già iniziando, ma che molti ignorano. Ecco cosa cambia, chi è obbligato e cosa bisogna fare.
Cosa prevede la Direttiva europea sull’accessibilità
L’European Accessibility Act nasce con l’obiettivo di garantire che le tecnologie digitali siano fruibili anche da persone con disabilità visive, uditive, motorie o cognitive. Parliamo di utenti che usano screen reader, ingranditori, comandi vocali o altri strumenti assistivi per navigare e interagire con i contenuti digitali.
La direttiva impone che alcuni prodotti e servizi digitali venduti o forniti nell’Unione Europea rispettino requisiti di accessibilità misurabili. In particolare:
- siti web e applicazioni mobili
- sportelli automatici e terminali self-service
- servizi bancari online
- piattaforme di e-commerce
- lettori e-book e relativi software
- servizi di trasporto (biglietterie online, app per la mobilità)
- servizi di comunicazione elettronica (come chat e videochiamate)
- televisori digitali interattivi e guide elettroniche ai programmi
I requisiti tecnici si basano, in larga parte, sugli standard internazionali WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines) almeno a livello “AA”.
Chi è obbligato e chi no
La normativa non si applica a tutti. Sono tenuti a conformarsi:
- i produttori e fornitori di servizi digitali destinati al pubblico nel mercato europeo;
- le aziende con più di 10 dipendenti o con fatturato annuo superiore a 2 milioni di euro, anche se operano solo online;
- i fornitori di servizi essenziali o d’interesse generale (es. sanità, trasporti, banche), anche se microimprese.
Sono invece esentate:
- le microimprese (meno di 10 dipendenti e meno di 2 milioni di fatturato), solo se non forniscono servizi di interesse pubblico;
- i prodotti e servizi già immessi sul mercato prima del 28 giugno 2025;
- i casi in cui l’adeguamento comporterebbe un onere sproporzionato, da dimostrare con documentazione oggettiva.
L’esenzione non è automatica, e dovrà essere giustificata in caso di controlli.
La dichiarazione di accessibilità: obbligo e contenuti
Una delle novità principali riguarda la dichiarazione di accessibilità, obbligatoria per tutti i soggetti tenuti all’adeguamento. Deve essere pubblicata in modo visibile, ad esempio in fondo al sito web o nella sezione “Info” di un’app, e deve indicare:
- il livello di conformità del sito o del servizio agli standard richiesti;
- le eventuali barriere ancora presenti e le soluzioni previste;
- le modalità per segnalare problemi di accessibilità;
- un punto di contatto per l’utente.
Questa dichiarazione ha valore legale: equivale a un’autocertificazione e sarà soggetta a controlli da parte dell’autorità competente, che in Italia sarà individuata dal Governo entro fine 2025 (per ora è AgID solo per le PA).
Chi non ha ancora completato l’adeguamento, può già mettersi in regola pubblicando una dichiarazione provvisoria, in cui si attesti l’avvio del processo di conformità e i tempi previsti.
Le scadenze: tempo fino al 28 giugno 2025
Il termine per adeguarsi è fissato in tutta Europa al 28 giugno 2025. Dopo quella data, i prodotti e servizi digitali non conformi non potranno più essere commercializzati o forniti nel mercato europeo, né aggiornati. Chi li mantiene in esercizio rischia sanzioni, blocchi amministrativi, e cause per discriminazione.
In Italia, la normativa sarà applicata attraverso decreti attuativi in fase di finalizzazione. Le sanzioni potrebbero includere:
- ritiro dal mercato;
- obbligo di adeguamento forzato;
- sanzioni pecuniarie;
- responsabilità civile in caso di reclami da parte degli utenti.
Perché è una svolta (e non solo per chi ha disabilità)
L’accessibilità non è un favore né un costo extra, ma una condizione essenziale per una società digitale equa e moderna. Secondo Eurostat, in Europa vivono oltre 87 milioni di persone con una qualche forma di disabilità, e la maggior parte di esse utilizza regolarmente internet, app e servizi online. Un sito non accessibile esclude milioni di utenti e danneggia l’immagine dell’azienda, oltre a violare la legge.
Ma l’accessibilità digitale porta benefici a tutti: migliora l’usabilità, la chiarezza, la compatibilità con i dispositivi mobili, riduce il tasso di abbandono delle pagine e aumenta la soddisfazione dell’utente.
Le aziende che si muovono per tempo potranno anche valorizzare l’impegno, comunicandolo ai clienti e agli investitori come una forma concreta di responsabilità sociale.
Cosa fare subito
Chi rientra tra i soggetti obbligati dovrebbe:
- avviare immediatamente un’analisi tecnica del proprio sito, app o servizio digitale;
- affidarsi a consulenti esperti in accessibilità digitale e usabilità;
- progettare un piano graduale di adeguamento;
- pubblicare una dichiarazione di accessibilità, anche provvisoria;
- formare il proprio personale tecnico e comunicativo.
Non basta rendere accessibile un modulo o una pagina: l’accessibilità va integrata nel ciclo di vita del prodotto, dalla progettazione alla manutenzione.
Dal 2025 non c’è più spazio per chi esclude. L’Europa ha scelto di garantire il diritto alla piena partecipazione digitale per tutte le persone, indipendentemente dalle loro abilità. Le aziende che sapranno cogliere il senso profondo di questa trasformazione non solo eviteranno sanzioni, ma abbracceranno una nuova visione di innovazione inclusiva. Chi resta indietro, invece, rischia di non poter più restare sul mercato.