Negli ultimi anni, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano si trova in una situazione sempre più critica. Liste d’attesa che superano anche l’anno, personale medico sotto organico, pronto soccorso in tilt e strutture che non riescono più a reggere l’impatto della domanda sanitaria crescente. In questo scenario di crescente pressione, si sta affermando un fenomeno sempre più rilevante e, per certi versi, inevitabile: il ricorso crescente ai centri medici privati come alternativa o supporto al servizio pubblico. Una dinamica che solleva interrogativi su equità, accessibilità e sostenibilità del sistema, ma che, al tempo stesso, offre spunti per una possibile riorganizzazione integrata della sanità italiana.
Liste d’attesa fuori controllo
Il rapporto 2023 di Cittadinanzattiva sulla sanità pubblica ha messo in luce dati allarmanti: per una visita endocrinologica, i tempi d’attesa nel SSN superano i 150 giorni in media, con punte di oltre 200 giorni in alcune regioni. Per una risonanza magnetica, l’attesa media è di 98 giorni, mentre per una TAC si arriva a 122. A fronte di questa situazione, il 41% degli italiani – secondo il 56° Rapporto Censis – ha pagato di tasca propria almeno una prestazione sanitaria che avrebbe potuto teoricamente ottenere in convenzione, pur di evitarne i tempi di attesa.
La conseguenza più evidente è la migrazione crescente verso strutture private, non per un capriccio, ma per necessità. Anche il Ministero della Salute, nei documenti tecnici sul PNRR, ha riconosciuto che il “deflusso verso il privato rappresenta un elemento strutturale del sistema”, soprattutto in ambiti come la diagnostica per immagini, l’odontoiatria e la fisioterapia.
Il ruolo sempre più centrale dei centri privati
Il settore della sanità privata, in particolare quello dei centri diagnostici e poliambulatori, è cresciuto del 6,5% nel solo 2023 (fonte: Assosalute). In molti casi, questi centri non sono accreditati con il SSN, ma operano in parallelo, offrendo prestazioni rapide, con strumentazioni moderne e personale spesso giovane e specializzato. L’accesso diretto, senza burocrazia, rappresenta uno degli elementi più attrattivi per i cittadini.
Non si tratta solo di cliniche d’élite, ma anche di realtà territoriali a costi contenuti. Il profilo medio del paziente privato non è più quello del cittadino abbiente, ma spesso è quello di un lavoratore che non può permettersi mesi d’attesa per una diagnosi, o di un anziano che necessita di monitoraggio continuo per patologie croniche. In questo contesto, il ricorso a un centro medico rappresenta, per molti, una risposta concreta a un’esigenza urgente di salute.
Disuguaglianze in aumento?
Se da un lato il settore privato assorbe parte della domanda inevasa del pubblico, dall’altro il rischio evidente è quello dell’acuirsi delle disuguaglianze sociali. Il Rapporto Oasi 2023 del CERGAS Bocconi sottolinea che «la crescita del canale privato rischia di consolidare un sistema duale, dove l’accesso alla cura è determinato dalla capacità di spesa». Le fasce di popolazione a basso reddito, escluse dai benefici del privato, restano intrappolate nei tempi lunghissimi del SSN.
Il problema non è l’esistenza del privato, ma l’assenza di una regia pubblica forte che ne coordini e regoli l’azione all’interno di un disegno sistemico. Attualmente, molte Regioni faticano a implementare accordi efficaci con le strutture convenzionate, e pochissime politiche sono orientate all’integrazione virtuosa tra pubblico e privato.
Quando il privato sostiene il pubblico
In alcune aree del Paese, soprattutto dove l’offerta ospedaliera è più fragile, il privato di prossimità svolge un ruolo di supplenza essenziale. È il caso, ad esempio, dei centri diagnostici che, con tecnologie come TAC Cone Beam, risonanza magnetica aperta e densitometria ossea (MOC), riescono a garantire in pochi giorni ciò che nel SSN richiederebbe mesi.
Alcuni centri offrono tariffe contenute per prestazioni basilari, riuscendo a coniugare accessibilità e qualità. Questo modello rappresenta un potenziale alleato per la sanità pubblica, soprattutto nel contesto del post-Covid, in cui le prestazioni arretrate ammontano ancora a oltre 1 milione (dato Agenas, ottobre 2023).
Il futuro: sinergia o conflitto?
La vera questione ora è decidere se continuare a lasciare che pubblico e privato agiscano su binari paralleli (e talvolta in concorrenza), oppure costruire un modello integrato e regolato. Alcuni esperti, come il professor Walter Ricciardi, sostengono la necessità di «un sistema misto in cui il privato svolga una funzione complementare e coordinata, evitando derive mercantili».
La recente proposta di legge sul potenziamento dell’assistenza territoriale prevede, tra le altre cose, un maggiore coinvolgimento delle strutture private accreditate, in particolare per abbattere le liste d’attesa. Tuttavia, l’efficacia di questo modello dipenderà dalla capacità delle Regioni di stipulare contratti trasparenti, monitorabili e orientati al risultato.
Conclusioni: un nuovo equilibrio possibile
Il ricorso crescente ai centri medici privati è ormai una realtà strutturale, non più un’eccezione. È l’effetto diretto della crisi della sanità pubblica, ma anche della trasformazione culturale della domanda di salute: sempre più personalizzata, tempestiva, esigente.
In questo contesto, il centro medico territoriale, accessibile e ben attrezzato, può rappresentare non un nemico, ma un alleato per un SSN in difficoltà. A condizione che lo Stato sappia regolare il sistema, garantire equità, e fare in modo che nessun cittadino sia costretto a scegliere tra tempi lunghi e portafoglio.
L’alternativa è un sistema sanitario sempre più diseguale, dove la salute non è più un diritto, ma un privilegio.